MI CHIAMO LUCY BARTON (11/09/2017) - a cura della prof.ssa Anna Cosenza Toscano


Autore: Elisabeth Strout

Genere: narrativa straniera

Valutazione:

Tentativo non del tutto riuscito di analizzare un rapporto madre -figlia guasto da anni, il romanzo si dipana sull’onda del ricordo di quanto avvenuto, il tutto, raccontato a posteriori da una delle due protagoniste Lucy che, ricoverata  in ospedale a seguito da alcune complicanze operatorie, una sera , aprendo gli occhi, si trova al capezzale la madre che non vedeva da molti anni e con la quale non era mai riuscita a costruire una relazione significativa. Cresciuta in una famiglia dove le necessità materiali prevaricavano il bisogno di tenerezza ed amore, Lucy finisce con l’allontanarsi, con il compiere anche scelte sbagliate; il ritrovarsi davanti la madre la mette in crisi ; cosa dire? Perché è lì ? cosa vuole? non conosce neppure le sue due bambine… ,ma è sufficiente che la madre la chiami con il soprannome con cui la appellava da bambina perché il tempo trascorso si azzeri, la figlia , tornata bambina, le chiede di raccontarle una storia , una qualunque, la madre sembra voler colmare il vuoto di tanti anni di distanza e non solo fisica , rimanendo per giorni al suo capezzale senza concedersi neppure un momento di riposo. E tutte le parole si azzerano, le due donne si muovono sul terreno neutro di una  conversazione apparentemente banale che, però, lascia intendere ben altro. Tutto il romanzo è infatti  sviluppato sul non detto costituendone l’aspetto più significativo, tuttavia  il rapporto tra le due donne non è approfondito quanto ci si aspetta , le premesse iniziali non vengono soddisfatte , soprattutto nella seconda parte il romanzo è un po’ confuso e contraddittorio perché se è vero che l’insoddisfazione causata da un mancato e difficile rapporto madre-figlia condizionerà le scelte di Lucy ed anche il suo modo di essere madre ,è anche vero che lei stessa  da adulta non riesce a comprendere a fondo le ragioni della madre e pur ricambiando l’assistenza prestatale ,  si ferma sulla soglia dell’infanzia che pretende e non è capace di dare. Libro triste e malinconico, intimo e toccante ,ma non quanto ci si aspetterebbe dall’autrice di Olive Katteridge.