BABIJ JAR (28/08/2019) - a cura della prof.ssa Anna Cosenza Toscano


Autore: Anatolij Kuznecov

Genere: narrativa straniera

Valutazione:

 

“Capiremo mai che la cosa più preziosa al mondo è la vita dell’uomo e la sua libertà? O ci attende ancora la barbarie?”
E’ l’interrogativo che pone Kuznecov in questo libro –documento ( come lui stesso lo definisce) in cui l’io narrante Tolik un bimbo ucraino undicenne racconta gli orrori dell’occupazione nazista di Kiev nel 1941, la Schoah dell’Est, la fame , la disperazione, la paura patite durante la guerra. L’autore che spesso interviene nella narrazione con considerazioni personali quanto mai attuali sottolinea fermamente già all’inizio che tutto quello che il lettore leggerà è VERO, è accaduto davvero!!!malgrado i tentativi da parte di tutti di sminuire e addirittura negare la veridicità dei fatti. A riprova Kuznecov racconta la vicenda editoriale del libro sottoposto ad una pesante censura da parte dell’autorità russe preoccupate di trovarvi commenti anticomunisti e in effetti il libro verrà poi pubblicato dopo che la versione integrale era giunta clandestinamente all’estero.
Spinta da un commento di Gard Lerner che ne sollecitava la lettura poiché indispensabile per comprendere appieno le colpe del Nazismo e dell’antisemitismo in genere (non dimentichiamo e l’autore lo sottolinea che anche i russi lo furono e perseguitarono gli Ebrei anche dopo la fine della guerra ) l’ho letto non potendo non inorridire di fronte all’efferatezza dimostrata dai tedeschi nel portare avanti il loro progetto di nazificazione dell’Europa, tuttavia non concordo con Lerner; a mio avviso “ Le benevole” è un libro ancora più crudo e duro con in più un aspetto riassunto dalla Arendt ne : La banalità del male. Il male spesso appare “ banale” e pertanto ancora più terribile perché è la quinta essenza della più totale disumanizzzazione. Il titolo, Babij Jar, è il nome di un burrone profondissimo in cui i nazisti gettarono ebrei, russi, ucraini, partigiani, tutti coloro che si “ macchiavano” di qualche disobbedienza, un’enorme fossa comune incendiata, coperta di fango, trasformata dai sovietici in lago frenato da una diga poi franata, negato e solo alla fine ricordato da una lapide su cui vengono deposti fiori solo quando giunge qualcuno in visita ufficiale. Ma al di là dei fatti, la lezione più importante che si trae dal libro è quanto scrive l’autore proprio alla fine: 
“Si può bruciare, disperdere al vento, ricoprire di terra, calpestare, ma la memoria umana sopravvive. Non si può ingannare la storia ed è impossibile nasconderle qualcosa per sempre.”